La prima volta che mi sono occupato di Ponte sullo stretto di Messina ero in terza media e, insieme ad alcuni compagni di classe, avevo fondato il “Dante News” settimanale studentesco della scuola media Dante Alighieri di Catania.
Da allora sono passati 52 anni, ma rispetto a questo argomento è cambiato molto poco. Dopo il tradimento del governo Monti e lo scioglimento della Società per lo stretto, che tra il 2011 e il 2012 aveva già affidato l’appalto dell’opera, prendiamo atto che il ponte è fuori dal Recovery plan, che le commissioni se ne inventano una al giorno pur di perdere tempo e che quindi il ponte non si farà. D’altra parte una simile infrastruttura significherebbe far diventare la Sicilia un grande hub logistico per l’intero Mediterraneo, dunque significherebbe ridiscutere il ruolo dei porti di Trieste e Genova, che non riescono più a smaltire l’attuale traffico merci, ma che non mollano.
Il ponte significherebbe invertire il senso di marcia dell’economia europea e questo non lo vuole nessuno, tranne noi siciliani e qualche meridionale illuminato. Soprattutto non lo vogliono certi speculatori e le varie mafie, le varie ‘ndranghete e le varie camorre, che potrebbero avere interessi su altre piattaforme logistiche rientranti nei loro territori d’influenza.
Il ponte rappresenta un’infrastruttura indispensabile non solo per guadagnare un’ora nell’attraversamento dello stretto di Messina, come afferma qualche viceministro palesemente idiota, ma soprattutto per intercettare il traffico navale che al momento, dopo essere transitato dal canale di Suez, dalla Turchia, dai paesi del Nord Africa, supera lo stretto di Gibilterra e approda a Rotterdam o ad Amburgo e da lì viene smistato in tutta Europa, lasciando lungo il suo percorso quasi il 95% del valore aggiunto e del lavoro che vi sono connessi.
Il ponte, però, non rappresenta soltanto un’infrastruttura cardine per il Mezzogiorno, ma molto di più, poiché significa anche un grosso contributo al contenimento dei livelli di inquinamento globale e locale, perché riduce di circa 8 giorni la navigazione delle attuali 45.000 navi l’anno che transitano nel Canale di Sicilia e che presto, con il raddoppio del Canale di Suez, diventeranno circa 90.000.
Tutto questo certa politica lo sa molto bene, ma finge di non saperlo, perché non risponde alle esigenze del territorio che la esprime, in particolare non risponde al Sud e alla Sicilia, ma risponde ai partiti nazionali che a loro volta sono “gestiti” non dagli iscritti, ma dai poteri finanziari che ne sostengono e ne orientano le varie leadership.


In estrema sintesi, non avendo alcun timore di essere smentiti, potremmo dire che senza un partito meridionalista, negli uomini e nei programmi, il Mezzogiorno difficilmente potrà riuscire a decollare, difficilmente potrà garantire ai propri cittadini una qualità della vita pari a quella della media dei cittadini delle altre regioni italiane.
Questo assunto ha però un corollario che riguarda ciascuno di noi: nella vita degli uomini, infatti, nulla accade spontaneamente, poiché ogni cosa costituisce l’effetto di una precisa azione che nessuno compirà al nostro posto, se noi stessi non mostreremo concretamente di volerla compiere.